Bruno vende le ciliegie a Otranto, che ci ho messo mezz’ora a capire che si chiama Bruno (..uno!; di ciliegie, sì, me ne dia uno. un chilo, sì; no me ..amo ..uno!; sì sì, uno va bene!; no volevo dire che mi chiamo Buno; ah Buno, ma è un nome di qui?; ah signò che nun ce senti?; sì sì, scusi, posso fare una foto?; annuisce compiaciuto, mentre nel contempo scuote la testa, che come farà poi, che son…o gesti contrapposti, …ecc ecc). Dicevo: Bruno sta davanti alla sua distesa lussuriosa di ciliegie ad Otranto. Me ne dà un chilo, le mette con le manone consumate in un sacchettone bianco dopo averle prima sgranate sulla bilancia e mi dice che le devo mangiare così, senza lavarle, ché le sue ciliegie sono così buone che se poi ti fanno male non fa niente, perché tanto è stato il gusto di assaporarle, che poi il male nemmeno lo senti tanto, comunque non lo ricordi e continuerai a mangiarne lo stesso. Non lo dice con queste parole, ma io capisco, e dopo passeggio davanti a quel mare azzurro cielo (o forse è il contrario) e con quel vento che scompiglia i capelli che mi ballano in testa, gli occhi curiosi che girano così tanto per non perdermi nemmeno una delle sensazioni di deliziosa sorpresa eccitata che mi hanno accompagnato per le ultime ventiquattr’ore. Mi infilo nei viottoli accoglienti, avventurosa e giovane e sola, dove sola in quel momento è la cosa più meravigliosa che mi potesse capitare e sono me all’ennesima potenza, e saluto gente che non conosco che mi sorride, la mano quasi senza accorgermene nel sacchettone e il gusto pieno della ciliegia rosso e succoso, che è proprio vero che una tira l’altra. E ad Otranto di più. Così, dopo dopo, seduta in un altro mondo e con vestiti diversi, ché sto tornando dove abita la mia vita normale, arraffo pensosa ancora una ciliegia via l’altra e capisco davvero. Che è proprio come ha detto Bruno, solo che non stava parlando delle sue ciliegie. Che nella mia vita che fra pochi minuti avrà girato l’ennesima boa, per dirla alla marinara, anche io ho sempre affondato i denti nelle ciliegie gonfie e succose di attesa senza averle lavate. E ne ho addentate di dolci e confortevoli e deliziosamente appaganti, godendone la lunga o breve digestione che sia, in pieno agio, ma ne ho anche ingoiate qualcuna – diverse – che proprio pulite non erano, ma dolci e piacevoli al morso, per poi portarmi diretta nel mondo del mal di pancia più nauseabondo, che comunque – anche quello, come tutto – passa. E non ho mai smesso di affondare – a ritmi variabili – la mano nel sacchettone bianco, candido, perché il gusto sublime della ciliegia che ancora deve arrivare, è sempre valso la penna del rischio di un momentaneo e passeggero disgusto. E’ il mio compleanno e io mi auguro – auguro alla me stessa che so di tanto amare, anche quando credo di non farlo – di avere sempre a portata di mano il sacchettone magico delle meraviglie ancora a venire, e di non avere mai – no, proprio mai – paura di affondarci dentro la mano per assaporare il gusto che verrà, anche a rischio di qualche mal di pancia. Ché i mal di pancia ormai lo so, che passano, ma parimenti so, con tutto il mio essere – di dentro e di fuori, fortemente lo so – che anche quelli servono, a portarti alle delizie che devono ancora arrivare, a riempirmi stomaco e vita. Me lo auguro, sì, come si fanno gli auguri di compleanno, ma potrei anche non farlo, perché a trentanove anni suonati e periodici – come tutte le vere ex modelle avranno per tutta la vita – ormai lo so, che non smetterò mai e poi mai, di avere la granitica certezza, che il meglio per me, deve ancora arrivare. Tanti auguri a me – sì – e anche a Bruno – dovunque lui sia ora – che vende a stralunate, eccitate e chiacchierone passanti coi calzoncini rossi e la maglietta a righe, ciliegie, saggezza, e soprattutto speranza. Un tanto al chilo.